Strazio Turris: una sadica sopravvivenza che prolunga solo la sofferenza...
La Turris oggi somiglia a un malato terminale. Non si intravede alcuna cura efficace per salvarlo dal profondo male che lo consuma, eppure lo si tiene attaccato a una macchina che prolunga solo la sua sofferenza. Non per compassione, ma per un sadismo inspiegabile, quasi perverso. La sopravvivenza ottenuta con la corsa contro il tempo per evitare la radiazione, pur salutata inizialmente come un sospiro di sollievo, in mancanza di una vera svolta anche a livello societario, si sta rivelando per ciò che è: una lenta agonia.
La tifoseria, esasperata e in parte rassegnata, assiste impotente a questo strazio, costretta a vedere la propria squadra subire umiliazione dopo umiliazione. La squadra, dal canto suo, è uno specchio di questa realtà: un gruppo depresso, privo di punti di riferimento seri, martoriato da pagamenti in ritardo e incompleti, nonostante la disponibilità dimostrata dai tesserati con l’abbattimento degli ingaggi. Perfino un gesto d’aiuto, come quello di Colantonio, che ha permesso di raccogliere i fondi necessari per sopravvivere, si è rivelato insufficiente per mettere in sicurezza una situazione che appare irrimediabilmente compromessa e dove non sembra esserci reale volontà di porvi rimedio.
E allora, che senso ha avuto questa lotta disperata contro il tempo per evitare la radiazione? La domanda sorge spontanea, perché se prima si sfiorava l’orrore, ora si sprofonda nella tragedia. Una squadra in subbuglio, una nuova penalizzazione ormai certa, l’assenza di una guida tecnica e una compagine societaria che continua a dimostrarsi inadeguata, sia per risorse economiche che per competenze.
Che male ha fatto la Turris per meritarsi tutto questo? E che male ha fatto Torre del Greco per vivere un ottantesimo anniversario della fondazione del suo storico club ridotto a una farsa? La verità è che, più che salvare la vita del club, si sta perpetrando una vera e propria violenza. Si tiene in piedi un corpo che non ce la fa più, non per dargli speranza, ma per prolungarne l’agonia.
E allora viene da chiedersi: perché non è stata staccata la spina? Forse sarebbe stato più dignitoso accettare la fine, riconoscere che la storia della Turris meritava ben altro epilogo. Invece, ciò che resta è uno spettacolo indegno, che umilia non solo i colori sociali, ma anche una città intera.
Era davvero questo il senso della sopravvivenza? Oppure stiamo assistendo al più triste esempio di accanimento terapeutico, in cui il paziente non viene tenuto in vita per essere salvato, ma solo per soffrire ancora un po’?